Gli acceleratori di particelle rappresentano da anni lo strumento di indagine più potente della fisica nucleare e subnucleare. Questo ramo della fisica si occupa dello studio dei costituenti primi della materia, le cosiddette particelle elementari, come ad esempio gli elettroni e i quark che compongono i protoni, e delle leggi che governano le loro interazioni. A partire dalla comprensione di queste leggi possiamo scoprire come la materia che si è generata al momento del Big Bang ha interagito fino a formare l’Universo a noi conosciuto.

Figura 1 – Tracciato della circonferenza di 27 km dell’acceleratore LHC, costruito sotto terra in territorio svizzero al CERN di Ginevra.
Il compito degli acceleratori è quello di creare fasci di particelle di altissima energia cinetica. Facendoli collidere tra loro si possono efficacemente indagare le proprietà della materia: maggiore è l’energia dei fasci, più dettagliate sono le informazioni che si possono ricavare. L’attuale limite al raggiungimento di energie sempre più elevate è dato dal fatto che le tecnologie fino ad oggi utilizzate impongono agli acceleratori enormi costi e dimensioni.
Recentemente è però in studio una nuova tecnica che accelera particelle cariche utilizzando i campi elettrici che si generano all’interno di plasmi eccitati da impulsi laser. Si tratta di campi elettrici elevatissimi, fino a dieci volte maggiori di quelli realizzabili negli acceleratori tradizionali. Questo metodo, una volta perfezionato, permetterà di accelerare particelle a energie elevatissime in spazi molto piccoli.
Gli acceleratori di oggi
Per accelerare le particelle cariche si utilizzano i campi elettrici, ma vi è una soglia di surriscaldamento e rottura dei materiali che ne limita la massima intensità raggiungibile ad alcune decine di MV/m, milioni di volt per metro. Per raggiungere energie elevate occorre quindi che l’azione del campo elettrico sia prolungata nel tempo e per questo sono necessari acceleratori molto lunghi. Il motivo per cui spesso se ne costruiscono di forma circolare è la possibilità di far girare le particelle al loro interno più e più volte. Per curvare la traiettoria delle particelle si sfrutta la forza di Lorentz fornita da campi magnetici, ma anche in questo caso, poiché vi è un limite alla massima intensità di questi ultimi, la circonferenza degli acceleratori deve essere molto grande.
L’acceleratore di particelle più potente mai costruito è l’LHC che si trova ai laboratori del CERN di Ginevra (cfr. Figura 1). Si tratta dell’acceleratore più grande del mondo: ha una circonferenza di 27 km e utilizza campi magnetici maggiori di 8 T (Tesla), realizzati con magneti superconduttori. Sviluppare un acceleratore più potente dello stesso tipo di LHC avrebbe costi e dimensioni difficilmente sostenibili. L’unico modo per superarne i limiti sarebbe quello di pensare a una tecnica in grado di realizzare campi elettrici molto più elevati in spazi molto più piccoli.
Campi elettrici nei plasmi

Figura 2 – Per essere accelerata dall’onda di plasma una particella deve avere la giusta velocità iniziale, come un surfista che si prepara a prendere l’onda dell’oceano.
All’interno di un plasma si possono creare campi elettrici elevatissimi poiché non c’è pericolo di rottura, essendo un gas ionizzato (cfr. Box 1). Si può trattare anche di campi elettrici dell’ordine di centinaia di GV/m (miliardi di volt per metro), ossia cento volte maggiori di quelli presenti nelle più tecnologiche cavità degli attuali acceleratori. Per generare simili campi è necessario però perturbare il plasma in modo intenso e mirato e questo viene fatto utilizzando degli impulsi laser opportuni.
Il moto delle particelle cariche che compongono un plasma non è governato dalle collisioni, che trasmettono le forze applicate al sistema solo localmente, ma dai campi elettrici e magnetici generati da concentrazioni delle cariche stesse, che sono forze che agiscono a lunga distanza. Questo significa che introducendo nel plasma una perturbazione localizzata (come può esserlo il passaggio di un impulso laser), tutte le particelle di cui è composto rispondono istantaneamente.
Nella condizione di equilibrio, ossia di plasma imperturbato, elettroni negativi e ioni positivi sono disposti in modo da mantenere, globalmente, la neutralità. Se il plasma viene perturbato dal passaggio di un impulso laser, gli elettroni, più leggeri degli ioni, si allontanano dalla loro posizione di equilibrio e a questo spostamento segue la formazione di campi elettrici di richiamo che tendono a riportarli nella posizione di partenza. Tuttavia a causa dell’inerzia, una volta messi in moto, gli elettroni che ritornano verso la posizione di equilibrio la superano, dando così il via a delle oscillazioni attorno ad essa come se si trovassero al capo di una molla. Queste oscillazioni avvengono a una frequenza caratteristica che dipende dalla densità elettronica e che si chiama frequenza di plasma. È il campo elettrico generato dagli elettroni che oscillano all’interno di questa cosiddetta onda di plasma a essere sfruttato per accelerare particelle.
Questo campo risponde a due requisiti fondamentali per l’accelerazione di particelle a energie elevate: è un campo elettrico longitudinale, cioè nella stessa direzione di propagazione dell’onda, ed è caratterizzato da una velocità di fase, quella cioè con cui oscilla, che può avvicinarsi quanto si vuole alla velocità della luce.

Figura 3 – Come la barca lascia sull’acqua onde di scia al suo passaggio, allo stesso modo l’impulso laser crea un’onda nel plasma che attraversa.
Quello che succede quando un impulso laser attraversa il plasma, eccitando delle oscillazioni elettroniche al suo passaggio, è lo stesso fenomeno che si verifica quando una barca, attraversando il mare piatto, genera dietro di sé delle onde di scia, con l’unica differenza che nel plasma, che è un mezzo risonante, queste onde hanno una frequenza caratteristica dipendente dal mezzo. È per questo che si parla di accelerazione sul campo di scia del laser.
Per essere accelerata da questo campo elettrico una particella deve trovarsi sulla cresta dell’onda, in fase con essa e deve avere una velocità opportuna. Allo stesso modo con cui un surfista deve acquisire una velocità iniziale per prendere l’onda dell’oceano. L’idea di eccitare onde di plasma longitudinali utilizzando fasci laser focalizzati per accelerare elettroni è venuta nel 1979 a Tajima e Dawson, due fisici californiani (surfisti?). I primi risultati sperimentali sono stati raggiunti solo recentemente, poiché questa tecnica è strettamente legata alla tecnologia dei laser. Per eccitare onde di plasma di grande ampiezza occorre avere un impulso laser super intenso e ultra corto, caratterizzato da una lunghezza d’onda pari a metà della lunghezza d’onda di plasma: solo in questo modo il sistema entra in risonanza.
Particelle sulla cresta dell’onda
Un possibile modo con cui sfruttare il campo elettrico associato alle onde di plasma per accelerare particelle è quello di accelerare le particelle del plasma stesso. Ciò può essere fatto utilizzando un impulso laser sufficientemente elevato da rompere l’onda elettronica. In questo modo gli elettroni che seguono l’oscillazione acquistano sufficiente energia da staccarsi dalla cresta dell’onda e vengono accelerati in avanti fino a fuoriuscire dal plasma (cfr. Figura qui accanto).
Più interessante per le applicazioni future è la possibilità di accelerare nel plasma particelle iniettate dall’esterno. Se si immette all’interno del plasma eccitato da laser un pacchetto di particelle sufficientemente stretto (metà della lunghezza d’onda di plasma) e con la giusta fase rispetto alla cresta dell’onda, le particelle iniettate possono essere spinte in avanti e accelerate dall’onda stessa. Per fare questo è sufficiente utilizzare plasmi con lunghezze dell’ordine di qualche centimetro, da confrontare con i metri di lunghezza degli acceleratori canonici.
Attualmente ai Laboratori Nazionali di Frascati è in via di realizzazione proprio l’esperimento PlasmonX, il primo in assoluto che prevede di accelerare tramite plasma un pacchetto di particelle iniettate dall’esterno come appena descritto.
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… una premonizione per il Nobel 2018 …