La superconduttività (cioè il passaggio di corrente in un materiale senza alcuna dissipazione) venne scoperta per caso nel 1911 da un giovane studente del Prof. Kammerlingh Onnes a Leida. In occasione del (primo) centenario della scoperta abbiamo pensato a un numero speciale di Accastampato dedicato interamente a questo affascinante fenomeno.
Fin dalla sua scoperta, totalmente inaspettata sulla base delle conoscenze teoriche dell’epoca, ci si rese conto che l’assenza di resistività era solo una delle manifestazioni macroscopiche di un nuovo stato quantistico della materia. Come ci racconta Laura Fanfarillo in Cento anni ma non li dimostra, la superconduttività emerge da un moto armonioso di coppie elettroniche, che riescono grazie a questa nuova coerenza globale a viaggiare nel reticolo cristallino senza più collisioni. La manifestazione macroscopica di un fenomeno miscroscopico puramente quantistico è quindi “uno degli aspetti più affascinanti della superconduttività”, per dirla con le parole usate da Valentina Brosco nella descrizione dei circuiti elettronici superconduttori. In essi, elementi superconduttivi alternati a elementi normalmente conduttori (le cosiddette giunzioni Josephson) danno vita a dei potenti convertitori di flusso magnetico in tensione, gli SQUID, con applicazioni che spaziano dalla MEG (magnetoencefalografia) ai (futuri) computer quantistici.
Ma torniamo alla resistenza nulla: questa ci permette di far passare in un circuito chiuso una corrente molto più grande di quella accessibile con un ordinario cavo metallico e generare con essa un elevato campo magnetico. Una spinta propulsiva notevole alla realizzazione di questi magneti superconduttori è venuta dal loro utilizzo negli acceleratori di particelle, in particolare in tempi recentissimi dalla costruzione del Large Hadron Collider (LHC) al CERN di Ginevra, come ci spiega Nicolò Biancacci in corrente… da brividi.
Una delle difficoltà principali consiste nel fatto che il fenomeno superconduttivo avviene solo nel limite dell’estremamente freddo (nella generazione di superconduttori cosiddetti ad alta temperatura siamo comunque intorno ai -150 °C). Può quindi sembrare paradossale che lo stesso fenomeno di accoppiamento coerente possa verificarsi nelle stelle di neutroni – dove la temperatura si aggira intorno ai 109 °C! – come invece ci raccontano Andrea Cipollone e Angelo Valli in Superconduttività di colore nelle stelle compatte.
Come avviene spesso in fisica, lo stesso modello teorico può descrivere fenomeni appartenenti a mondi apparentemente diversi. Dall’infinitamente freddo all’infinitamente caldo: a LHC a Ginevra si cercano manifestazioni del cosiddetto bosone di Higgs, la particella che è stata ipotizzata nel Modello Standard per spiegare perché in natura una certa simmetria, quella associata alle interazioni elettrodeboli, appare spontaneamente violata. Ebbene, la superconduttività è anch’essa una manifestazione del fenomeno di Higgs, che venne infatti postulato per la prima volta da Y. Nambu (vincitore nel 2008 del premio Nobel per la fisica insieme a M. Kobayashi and T. Maskawa) usando proprio l’analogia col fenomeno superconduttivo (Y. Nambu, G. Jona-Lasinio, A Dynamical Model of Elementary Particles based on an Analogy with Superconductivity II, Physics Review 124, 246 (1961)). Nel formare lo stato superconduttivo il sistema rompe (spontaneamente) la simmetria di gauge dell’interazione elettromagnetica. Il fotone diventa massivo (meccanismo di Higgs) e il campo magnetico non penetra nel superconduttore, dando luogo a quell’effetto Meissner di cui ci parla Laura Fanfarillo (vi consiglio a questo proposito il bellissimo articolo di Steven Weinberg).
Così, nell’attesa di sapere se potremo osservare o no il bosone di Higgs a LHC, speriamo che restiate affascinati dal suo confratello nel fenomeno superconduttivo, che appassiona da ormai ben 100 anni una vasta comunità di fisici dello stato solido!
Buona lettura!