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Editoriale

Una vita contro l’indifferenza

written by Francesco Leone

Se avessi anch’io fatto il mio dovere di uomo, se avessi cercato di far valere la mia voce, il mio parere, la mia volontà, sarebbe successo? E perciò è necessario che spariscano gli indifferenti, gli scettici, quelli che usufruiscono del poco bene che l’attività di pochi procura, e non vogliono prendersi la responsabilità del molto male che la loro assenza dalla lotta lascia preparare e succedere.

Con questa citazione di un celebre scritto di Antonio Gramsci, si apriva uno dei molti articoli di Daniel Amit sulla questione palestinese, “Testimonianze contro il male”. Queste righe esprimono in modo limpido l’urgenza e la passione per l’impegno civile del professor Amit, una testimonianza contro il male, dimostrata dalla profonda dedizione di uomo e di scienziato per la soluzione pacifica del conflitto israelo-palestinese. La stessa passione e impegno con cui ha affrontato in modo pionieristico lo studio del cervello e delle reti neurali, diventando un riferimento internazionale in questo ambito di studi.

In occasione dell’anniversario della sua scomparsa, avvenuta il 4 Novembre del 2007 a Gerusalemme, abbiamo scelto di ricordare il contributo scientifico e civile di Daniel Amit, un’eredità importante e stimolante per i giovani studenti e ricercatori. Come leggerete, in questo numero si racconteranno due aspetti di indiscutibile valore dell’attività del professor Amit. Da una parte il suo contributo nello studio delle reti neurali, che ci immerge in una branca affascinante e attuale della fisica, dedita alla comprensione dei meccanismi di funzionamento del cervello. Dall’altra la riflessione sulla responsabilità del lavoro dello scienziato in relazione all’utilizzo dei propri studi per fini economici e militari.

Il primo contributo costituisce un formidabile punto di partenza per i giovani ricercatori e un riferimento per chi si avvicina con sguardo curioso al mondo della scienza. Infatti i lavori di Daniel Amit sono stati pionieristici in una branca in pieno sviluppo che tenta di rispondere a domande di indiscutibile importanza: ad esempio, come fa un insieme di neuroni a imparare e ricordare eventi, immagini oppure odori? Il secondo contributo costituisce un insegnamento di grande valore per ogni aspirante scienziato, riflettendo esso sul ruolo e la responsabilità civile di questa figura e criticando la visione ingenua dello studioso neutrale che lavora per il solo progresso della conoscenza.

Per queste ragioni, abbiamo creduto importante raccogliere l’eredità intellettuale del lavoro di Daniel Amit e riproporre con questo numero speciale alcuni aspetti della sua attività. Giorgio Parisi e Paolo Del Giudice ci racconteranno del percorso scientifico e umano di Daniel Amit e dei suoi principali contributi in meccanica statistica e nello studio delle reti neurali. L’eredità dei suoi lavori in quest’ultimo campo, settore delle neuroscienze, sarà discusso poi da Alberto Bernacchia e Adriano Barra. Niccolò Loret ci parlerà infine delle riflessioni di Daniel Amit sul rapporto tra scienza e guerra e della sua rinuncia a collaborare con una delle più prestigiose riviste dell’American Physical Society.

Buona lettura!

Aprile 27, 2018 0 comment
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Superapplicazioni
Il Ricercatore Romano

Superapplicazioni

written by Francesco Leone

Con i normali metalli conduttori abbiamo a che fare tutti ogni giorno: i cavi che permettono il passaggio della corrente elettrica nelle nostre case ne sono un ottimo esempio. Tuttavia tale passaggio di corrente non è senza conseguenze: il materiale resiste a questo passaggio, perché gli elettroni responsabili della corrente elettrica sono soggetti a collisioni che li rallentano. Di conseguenza il materiale si scalda per effetto Joule: questo è il meccanismo di funzionamento, per esempio, della serpentina del tostapane. I superconduttori sono invece materiali nei quali a temperature bassissime (dell’ordine di -270 °C!) la resistenza elettrica diventa nulla. Tale proprietà consente quindi il passaggio di correnti molto più alte che in un normale conduttore, con numerose possibili applicazioni, che sono già oggi una realtà.

Figura 1 – Un fotogramma dalla campagna pubblicitaria “Out with
cables” dell’IBM

La prima ovvia applicazione è appunto nel trasporto di elettricità: invece di costruire cavi di conduttori convenzionali con sezioni sempre più grandi per ridurne la resistenza si possono usare cavi sottili di superconduttori. Non solo, una corrente che passa in un circuito chiuso (bobina) produce un campo magnetico, tanto più grande quanto più corrente scorre nel circuito. Usando pertanto un circuito superconduttore si possono generare campi magnetici molto intensi, dell’ordine di alcuni Tesla (1 Tesla equivale a circa 10 mila volte il campo magnetico terrestre). Questi alti campi magnetici vengono usati nella tecnica della risonanza magnetica nucleare, con la quale si osserva, dopo averli polarizzati, il comportamento dei momenti magnetici dei nuclei, sia nella MRI (magnetic resonance imaging) effettuata negli ospedali, che nei laboratori di fisica e chimica per studiare le proprietà dei solidi. In entrambi i casi un alto campo magnetico è cruciale per avere una buona risoluzione dell’immagine; analogamente un alto campo magnetico serve a curvare le traiettorie delle particelle negli acceleratori, contenendone le dimensioni, e può venire utilizzato per fare levitare un treno sui binari usando la tecnica delle correnti indotte.

Una terza linea di potenziali applicazioni dei superconduttori si basa sulle proprietà peculiari delle giunzioni Josephson, fatte alternando elementi superconduttori a elementi isolanti in un circuito. Queste strutture (SQUID) sono dei potenti rivelatori di fluttuazioni piccolissime di campo magentico, che hanno molteplici utilizzi in fisica, in geologia, o anche nella mappatura dell’attività celebrale fatta con la magnetoencefalografia.

Perché allora abbiamo la sensazione di aver avuto poco a che fare con i superconduttori nella vita di tutti i giorni? Perché i superconduttori, per essere tali, devono essere raffreddati a temperature così basse da richiedere una tecnologia che non è ancora utilizzabile su larga scala, e rimane confinata nei laboratori specialistici. È per questo che la comunità scientifica negli ultimi cento anni non ha mai smesso di cercare materiali capaci di supercondurre a temperature sempre più alte: il giorno in cui avremo realizzato la superconduttività a temperatura ambiente assisteremo a una vera rivoluzione in ogni ambito della nostra vita.

Aprile 26, 2018 0 comment
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Recensioni

Il mistero della superfluidità

written by Francesco Leone

La collana “I dialoghi” della casa editrice Di Renzo costituisce un’interessante proposta editoriale nella recente letteratura scientifica divulgativa. Si tratta di una collana di libri snelli e stimolanti, in cui i protagonisti della scienza e della cultura contemporanea (tra gli autori compaiono vari premi Nobel e medaglie Fields) si raccontano, parlando del proprio percorso umano e scientifico. Una caratteristica di questi libri è che sono leggibili tutti d’un fiato, essendo il frutto di una discussione con gli autori, come dei libri-intervista.

Tra il libri della collana vi è il recente “Il mistero della superfluidità”, uscito nel 2009 per mano di Anthony J. Leggett, insignito del premio Nobel per la fisica nel 2003 assieme ad Abrikos e Ginzburg, “per i contributi pionieristici alla teoria dei superconduttori e superfluidi”. Si tratta di un libro di gradevole lettura, leggibile in poco più di due ore.

Nella prima parte del libro l’autore racconta la sua esperienza di studente, formatosi nell’ambito umanistico e poi convertitosi alla fisica teorica dopo aver conseguito una laurea in filosofia. Questo racconto è esemplare nel mostrare che la strada scientifica non è affatto preclusa a chi ha avuto una formazione di stampo prettamente umanistico. Vi sono inoltre raccontati piccoli episodi divertenti della vita studentesca: può essere particolarmente incoraggiante per uno studente dei primi anni di fisica leggere del panico provato da Leggett di fronte a una serie di esercizi di termodinamica previsti nella prova d’esame conclusiva del corso di fisica della Oxford University.

La seconda parte del libro parla del contributo scientifico di Leggett alla comprensione teorica della superfluidità. Si tratta di un racconto molto interessante perché l’autore ha lavorato nell’ambito della superfluidità in modo pionieristico, seguendone tutti gli sviluppi storici, fin dalle prime evidenze sperimentali (per gli specialisti, si può tra l’altro consultare una sua recente rassegna storica fatta in occasione della Nobel Lecture). Ma i contributi di Leggett sono anche legati alla teoria della superconduttività ad alte temperature.

È da notare che, forse inevitabilmente, nella descrizione della fenomenologia e dei principi teorici della superfluidità ricorrono termini tecnici che spesso non vengono opportunamente introdotti al lettore non specialistico, nonostante sia presente un glossario utile a fornire i concetti indispensabili alla comprensione del testo. In questo senso alcune pagine risulteranno di non facile lettura.

Per concludere, lo spirito del libro è ben sintetizzato nelle sue frasi conclusive:

Se qualcuno di voi è riuscito a leggere tutto il libro, pur superando qualche difficoltà, sarà certamente in grado si affrontare studi più arditi. Per quanto riguarda gli altri, spero abbiano individuato spunti interessanti da utilizzare in altri ambiti della cultura, scientifica e non, e auguro loro di trovare una strada che li conquisti e li appassioni come la fisica ha conquistato e appassionato me.

Aprile 26, 2018 0 comment
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Circuiti elettronici superconduttori
Il Ricercatore Romano

Circuiti elettronici superconduttori

written by Francesco Leone

Il telefono cellulare o il computer che usiamo ogni giorno contengono componenti elettronici realizzati utilizzando diversi materiali, quali metalli, materiali ceramici e semiconduttori, come il silicio. Considerando le peculiari caratteristiche dei superconduttori, come l’assenza di dissipazione o l’effetto Meissner, viene naturale chiedersi quali siano le possibili applicazioni e le potenzialità di componenti elettronici superconduttori. Poiché la superconduttività si presenta a temperature molto basse, dell’ordine di -170 °C, le applicazioni non saranno in prodotti di consumo bensì, come vedremo, al servizio di sistemi industriali, di ricerca e nella medicina.

Dal punto di vista della fisica fondamentale, i circuiti superconduttori hanno qualcosa in comune con il laser e il transistor. In essi la dinamica quantistica microscopica si manifesta in modo evidente a livello macroscopico. Questo li rende particolarmente affascinanti e misteriosi per un osservatore abituato al mondo classico. Per cominciare vediamo quindi quali sono i principi fondamentali che governano la loro dinamica [1].

Quantizzazione del flusso magnetico ed effetto tunnel

In un anello superconduttore il flusso magnetico è un multiplo intero del quanto elementare di flusso, che può essere espresso in termini della costante di Planck h, e della carica elettrica e. Questo risultato nella sua semplicità e universalità ci stupisce. Possiamo immaginare circuiti superconduttori realizzati con diversi tipi di elementi, come l’alluminio o il niobio, di diverse dimensioni e fogge: in tutti la quantizzazione del flusso ha la stessa forma e dipende solo da costanti universali.

L’importanza della meccanica quantistica diventa ancor più evidente nel caso di circuiti contenenti le cosiddette giunzioni Josephson. Una giunzione Josephson può essere realizzata ponendo, per esempio, un sottile strato isolante fra due superconduttori, come mostrato nella figura a lato, o con un sottile ponte superconduttore. La cosa sorprendente è che anche in questo caso la dinamica del sistema, apparentemente complesso, è semplice e, soprattutto, che la barriera non distrugge la superconduttività. Al contrario, un circuito con una giunzione Josephson può sopportare correnti anche dell’ordine di 100 μA senza alcuna dissipazione.

Figura 1 – Giunzione Josephson formata da due superconduttori separati
da un sottile strato isolante.

Vi chiederete: “come possono gli elettroni attraversare la barriera isolante?” La risposta va cercata nella meccanica quantistica:
il passaggio di corrente attraverso una giunzione Josephson è possibile grazie a un effetto quantistico detto effetto tunnel.
La meccanica quantistica infatti prevede che le particelle abbiano una probabilità diversa da zero di attraversare una barriera classicamente impenetrabile. L’effetto tunnel avviene anche in sistemi non superconduttori: la peculiarità di questo caso è che il tunneling è coerente, ovvero implica una sorta di sincronizzazione del moto degli elettroni ai due lati della barriera, come la dama e il cavallo nel quadro di Magritte “Carte blanche” visibile qui sotto.

Figura 2 – R. Magritte, “Carte blanche” (1965): rappresentazione
pittorica dell’effetto tunnel nelle giunzioni Josephson.

Un altro aspetto interessante della dinamica delle giunzioni Josephson è che esse si comportano come delle induttanze non lineari. In un circuito superconduttore contenente una giunzione Josephson la corrente ha una dipendenza non lineare dal flusso magnetico concatenato al circuito e questo effetto viene sfruttato in moltissime applicazioni, in particolare nella realizzazione di magnetometri.

Come forse emerge già dal piccolo assaggio che abbiamo dato qui, ben pochi aspetti della dinamica dei circuiti superconduttori dipendono dalle loro caratteristiche specifiche, molte di queste proprietà sono in effetti la manifestazione di simmetrie fondamentali della Natura.

Piccolo aneddoto sulla scoperta delle proprietà delle giunzioni Josephson

In questa storia, l’audacia vinse sull’esperienza e la matematica poté più dell’intuito. Nel 1962 Brian Josephson era uno studente ventiduenne che faceva il dottorato a Cambridge. Nello stesso anno John Bardeen aveva 54 anni, aveva già vinto il premio Nobel nel 1956 per il transistor con W. Schockley e W. Brattain e formulato la teoria BCS della superconduttività con L. Cooper e R. Schrieffer1. Josephson sosteneva che, grazie all’effetto tunnel, si poteva avere una corrente non dissipativa tra due superconduttori separati da una sottile barriera. Per quanto all’epoca il fenomeno potesse sembrare strano, Josephson ne aveva discusso con altri fisici ed era sicuro del risultato. Bardeen sosteneva invece che Josephson si sbagliava e che il tunneling coerente tra due superconduttori non era possibile, mettendo pubblicamente in dubbio le teorie di Josephson. Nel gennaio del 1963 l’effetto Josephson fu osservato sperimentalmente da P. Anderson e J. Rowell e in seguito le predizioni di Josephson furono confermate con una precisione elevatissima fino all’ordine di 10-19. Il grande Bardeen fu costretto a ritirare le sue obiezioni al lavoro del giovane Josephson che nel 1973 vinse anch’egli il premio Nobel.

Magnetometri e computer quantistici

Tra le applicazioni dell’effetto Josephson che emersero poco dopo la sua scoperta vi sono quelle metrologiche. I superconduttori, per la loro universalità, sono infatti considerati candidati ideali per la costruzione di circuiti campione. Oggi il campione metrologico di tensione, che definisce il Volt, è ottenuto con un chip superconduttore contenente 300.000 giunzioni Josephson realizzato al NIST, il National Institute of Standards and Technology americano.

Altre applicazioni dell’effetto Josephson, forse più rilevanti per la nostra vita quotidiana, riguardano la medicina. Le giunzioni Josephson vengono infatti utilizzate nella misura di campi magnetici molto deboli come il campo magnetico generato dagli impulsi nervosi. La sensibilità dei circuiti superconduttori come magnetometri si aggira intorno ai 10-17 Tesla.

Figura 3 – Evoluzione temporale dell’attivita celebrale misurata con la `
MEG a seguito della lettura di alcune parole. Da [12].

I magnetometri basati sulle giunzioni Josephson utilizzano un circuito superconduttore con due giunzioni chiamato SQUID (Superconducting Quantum Interference Device). Come anticipato nel primo paragrafo, le giunzioni Josephson si comportano come induttanze non lineari e nel caso dello SQUID questo implica che la corrente massima che il circuito può sostenere senza dissipazione ha una dipendenza non-lineare dal flusso magnetico. Sfruttando questa relazione, lo SQUID agisce come un convertitore da flusso magnetico a tensione: piccole variazioni di flusso possono portare a grandi variazioni di tensione con una sensibilità determinata essenzialmente dal quanto di flusso magnetico. Gli SQUID sono in particolare utilizzati come magnetometri nella MEG (magnetoencefalografia) per diagnosticare danni celebrali prima di un intervento chirurgico e nella diagnosi dei tumori. Una delle peculiarità della MEG è che, a differenza di altri metodi per l’indagine del cervello, ha un’elevata risoluzione spaziale e temporale e può quindi seguire l’attività celebrale nel tempo, come si vede nella figura precedente.

Negli ultimi anni, i circuiti superconduttori hanno mostrato un altro aspetto estremamente interessante del loro carattere. Diversi gruppi sperimentali hanno infatti osservato che in questi sistemi alcune variabili macroscopiche, come la corrente, si comportano quantisticamente. Numerosi fenomeni quantistici macroscopici, quali l’effetto tunnel tra stati macroscopicamente differenti e la correlazione quantistica, anche detta entanglement [3], di circuiti superconduttori distanti sono stati dimostrati sperimentalmente. Ma perché menzionare questi effetti tra le applicazioni? La risposta è che la dinamica quantistica nei circuiti superconduttori può essere sfruttata per la realizzazione di dispositivi per l’informazione quantistica [4] e quindi la computazione quantistica. Il tema è ampiamente affrontato in “Luce e computer quantistici“, qui basti ricordare che in un computer quantistico l’informazione è codificata nei qubit, sistemi quantistici a due livelli, analoghi dei bit classici; le operazioni logiche fondamentali sfruttano i principi della meccanica quantistica; le operazioni logiche che compongono un algoritmo quantistico vanno effettuate prima che lo stato quantistico decada a causa dell’interazione con il mondo esterno, questo avviene in un tempo detto tempo di decoerenza; alcuni compiti particolarmente delicati per un computer classico potrebbero diventare più semplici e più veloci, come la scomposizione in fattori di un numero intero arbitrario o la simulazione di sistemi complessi. I due livelli quantistici in un qubit superconduttore possono essere per esempio due stati con diversa corrente. I vantaggi fondamentali offerti dai circuiti superconduttori nella realizzazione di qubit sono due: la possibilità di integrarne un grandissimo numero su chip e la facilità e rapidità con cui le operazioni logiche possono essere effettuate mediante l’applicazione di campi elettrici e magnetici. Uno dei problemi principali è invece che il tempo di decoerenza in questi sistemi è in genere troppo breve per effettuare un numero sufficiente di operazioni logiche. Questo limite ha portato moltissimi gruppi sperimentali e teorici a studiare le cause della decoerenza nei circuiti superconduttori e a cercare nuove strade per allungarne i tempi. Il problema sembra però oggi sulla via della soluzione: recentemente, infatti, in questi circuiti sono stati osservati tempi di coerenza dell’ordine di 10 μs. Questo è un tempo lunghissimo se si confronta con il tempo tipico di una singola operazione (circa 50 ps = 50 x 10-6 μs) ed è già sufficiente per implementare semplici algoritmi non banali [5].

Questo risultato, insieme a molti altri ottenuti in diversi laboratori di tutto il mondo potrebbe aprire la strada a nuovi e interessanti sviluppi. Chi fosse interessato può seguire il consiglio che R. Feynman dava agli studenti alla fine della sua lezione sull’effetto Josephson: “learn quantum mechanics as soon as possible” [1].

Aprile 26, 2018 0 comment
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Superconduttività di colore nelle stelle compatte
Il Ricercatore Romano

Superconduttività di colore nelle stelle compatte

written by Francesco Leone

Come abbiamo imparato dalle precedenti sezioni, la teoria di Bardeen, Cooper e Schrieffer (BCS) nasce e si sviluppa principalmente per descrivere una particolare fase nei metalli. Verso la fine degli anni ’70, grazie agli studi pionieristici di Frautschi e Barrois (cfr. [1] e [2]), si comprese che fenomeni di tipo superconduttivo potevano manifestarsi in campi di ricerca diversi: la teoria BCS poteva essere estesa, in particolari condizioni e con qualche modifica, all’interazione forte.

Figura 1 – Cio che rimane della supernova G11.2-0.3, alla cui esplosione `
hanno probabilmente assistito gli astronomi cinesi nel 386 a.C. Al centro
e visibile quella che probabilmente ` e la stella di neutroni rimasta dopo `
l’esplosione. Foto del Chandra X-ray Observatory della NASA: http:
//chandra.harvard.edu/photo/2007/g11/.

Condizioni estreme: materia superdensa

Ma cosa si intende per particolari condizioni. Per capirlo consideriamo uno dei sistemi (astro-)fisici in cui può esistere superconduttività (SC) a livello sub-nucleare: le stelle compatte. L’aggettivo compatte è usato per distinguere un genere particolare di stelle da quelle ordinarie, come potremmo definire il Sole. Ciò che le rende diverse è il fatto che al loro interno non avviene alcuna reazione termonucleare che contrasti l’azione attrattiva della gravità. La loro stabilità è, invece, una diretta conseguenza dell’elevata densità che le caratterizza. A questa famiglia appartengono gli oggetti con la più grande concentrazione di materia nell’universo, le stelle di neutroni. In breve, esse rappresentano una delle possibili fasi finali dell’evoluzione stellare, non sono altro che il residuo dell’esplosione di una supernova attraverso il quale la crosta e il mantello di una stella vengono spazzate nello spazio a grandi velocità. In letteratura sono molte le speculazioni riguardo quali possano essere le fasi della materia all’interno delle stelle di neutroni e una rappresentazione schematica è riportata nella figura sottostante.

Figura 2 – Speculazioni teoriche sulla composizione delle stelle di
neutroni. Da Fridolin Weber: http://www-rohan.sdsu.edu/
-fweber/.

Sul nostro pianeta la densità della materia è dell’ordine di qualche g/cm3 (circa 7,8 g/cm3 nel caso del ferro) e la sua struttura è determinata sostanzialmente da interazioni di natura elettromagnetica, come accade per le strutture cristalline, responsabili della formazione dello stato solido. Le stelle di neutroni hanno, invece, una massa paragonabile a quella del Sole, concentrata in soli 10-15 km di raggio (il raggio di Roma, per intendersi): negli strati più interni della stella, quindi, la densità può raggiungere (e superare) le densità caratteristiche dei nuclei atomici (circa 1015 g/cm3) e questi oggetti possono a tutti gli effetti essere pensati come degli immensi nuclei.

In tali condizioni le particelle, anziché formare stati aggregati isolati, sono in uno stato analogo a quello degli elettroni a basse temperature nei solidi. Le particelle delle stelle di neutroni devono rispettare il Principio di Esclusione di Pauli, che impedisce loro di occupare lo stesso stato quantistico. Il che significa che i neutroni, come gli elettroni all’interno degli atomi, riempiono uno dopo l’altro i livelli di energia disponibili (che in un sistema quantistico sono discreti) a partire da quello con energia più bassa. Tale stato, in cui le particelle sono nella configurazione di massimo impacchettamento è denominato Mare di Fermi.

A densità (e quindi energie) così elevate infatti gli effetti termici risultano trascurabili e la stella può essere assimilata a un fluido di neutroni alla temperatura dello zero assoluto (0 K = -279,42 °C, anche se la temperatura reale all’interno della stella può superare i 109 K!). La presenza di un Mare di Fermi è condizione necessaria per l’esistenza di fasi della materia spettacolari, come quella superconduttiva e quella superfluida.

Stelle superfluide?

La supefluidità è caratterizzata, macroscopicamente, dalla totale assenza di attrito viscoso. Le prime evidenze sperimentali [3] della presenza di componenti superfluide nelle stelle di neutroni risalgono al lontano 1967 e sono state individuate da Jocelyn Bell e Antony Hewish nelle pulsar. Queste stelle sono così chiamate perché emettono radiazione elettromagnetica in modo periodico. L’emissione è dovuta al disallineamento tra l’asse di rotazione e quello del campo magnetico. Sebbene le pulsar siano quasi dei perfetti orologi, dal 1967 a oggi sono state scoperte pulsar che esibiscono delle anomalie rispetto a questa sorprendente regolarità. Sono stati infatti osservati degli improvvisi aumenti nella velocità di rotazione. Le anomalie riscontrate ricadono in una delle seguenti tipologie. I glitches, o macro-salti, sono caratterizzati da un improvviso aumento nella velocità di rotazione della stella, che tende lentamente a ritornare al suo valore iniziale. Tali salti sono attribuiti alle componenti del fluido al suo interno che non sono debolmente legate alla componente rigida che ruota. I micro-salti, invece, sono piccole e irregolari variazioni aleatorie, sulla cui natura si sta tutt’ora dibattendo. Infine vi sono le variazioni a lungo periodo. Responsabile di queste anomalie sembrerebbe la superfluidità, interpretata nei termini di una frizione tra le componenti superfluide e quelle normali della stella.

Instabilità superconduttiva

In ambito astrofisico la superconduttività può manifestarsi a diversi livelli, in quanto l’interazione dominante all’interno delle stelle di neutroni, quella nucleare forte, è molto più complessa di quella elettromagnetica. Come illustrato nelle altre sezioni, l’originarsi di un’instabilità superconduttiva è dovuta alla presenza di un’interazione attrattiva comunque debole tra le particelle, in modo che queste possano riorganizzarsi in coppie di Cooper. Dato che gli elettroni nei metalli intrinsecamente si respingono, non è facile che si realizzino tali condizioni e lo stato superconduttivo è uno stato raro e delicato che sopravvive solo a temperature di pochi Kelvin. L’interazione forte, al contrario, è per propria natura parzialmente attrattiva, o meglio, alcune componenti sono attrattive, mentre altre sono repulsive.

Figura 3 – Formazione di un gas di quark [10].

Ciò rende dunque possibile, almeno teoricamente, un’esotica superconduttività di neutroni. Queste sono però a loro volta particelle composte da mattoncini elementari, i quark, allo stesso modo in cui gli atomi sono composti da nucleoni ed elettroni. Scenari ancora più sorprendenti possono quindi verificarsi nelle regioni più interne delle stelle di neutroni,
dove la densità può superare di (almeno) due, tre volte la densità dei nuclei. In queste condizioni è ragionevole pensare che i neutroni possano sovrapporsi, in senso quantistico, perdendo la propria individualità e generando un Mare di Fermi di quark, in presenza del quale è possibile che una debole attrazione possa alimentare la formazione di coppie (di-quark) e dare vita alla cosiddetta superconduttività di colore.

Interazioni colorate

L’interazione forte è una delle quattro interazioni fondamentali presenti in natura (le altre sono quella gravitazionale, debole ed elettromagnetica) ed e responsabile della stabilità dei nuclei e delle interazioni tra quark. I quark sono caratterizzati da una carica di colore, analoga alla carica elettrica. Esistono tre tipi di colore, red, green e blue (RGB), scelti in quanto colori fondamentali: ovvero ogni altro colore può essere generato da una miscela di questi tre. L’interazione avviene tramite lo scambio di mediatori, i gluoni, in analogia con i fotoni nell’elettromagnetismo. Da un punto di vista matematico la teoria che modellizza tale interazione e la Cromodinamica Quantistica (QCD), a oggi universalmente accettata come dimostra il premio Nobel per la Fisica conferito nel 2004 a Gross, Politzer e Wilczek. La QCD prevede per i quark le peculiari proprietà di confinamento e libertà asintotica nell’ultravioletto. Il confinamento è essenzialmente legato all’invisibilità dei quark, ovvero al fatto che le particelle colorate (ossia con carica di colore diversa da zero) non sono osservabili singolarmente, ma solo in aggregati con carica di colore globalmente nulla (per esempio i nucleoni). Per fare un paragone con la fisica atomica, e come se si potessero osservare solo gli atomi, elettricamente neutri, ma non le singole particelle elettricamente cariche (il protone e l’elettrone) che li compongono, che rimarrebbero sempre confinate all’interno dell’atomo senza poter uscirne. L’altra stravagante e controintuitiva proprietà della QCD è il fatto che la forza di interazione tra i quark cresce all’aumentare della distanza, così che a densità elevate le distanze tra quark sono mediamente molto piccole e la loro reciproca interazione è praticamente nulla.

Materia sempre più bizzarra

Finora abbiamo descritto le condizioni nelle quali può esistere una superconduttività diversa, ma le possibili conseguenze di condensati di quark a livello sub-nucleare sono solo parzialmente esplorate, a dimostrazione della complessità di tali sistemi; noi ci limiteremo a portare brevemente due esempi di possibili fasi superconduttive. Alla scala di energie tipiche dell’interno delle stelle di neutroni esistono sostanzialmente solo tre tipi di quark: due leggeri (up e down) e uno pesante (strange). Nel caso più semplice, che è favorito alle densità più alte, i tre tipi di quark si comportano allo stesso modo e si accoppiano tra loro in di-quark, in una fase detta color-flavour locked (CFL). Tuttavia, a densità inferiori la differenza di massa tra i tre quark può diventare importante e questo permette anche fasi più singolari, in cui solo i due quark più leggeri possono accoppiarsi (2-flavour superconducting color). In generale esiste una grande varietà di fasi e di modelli teorici che le descrivono, ma stiamo parlando di situazioni talmente bizzarre che le reali conseguenze di questi stati sono ancora fuori dalla portata degli studi sperimentali.

Aprile 26, 2018 0 comment
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Corrente. . . da brividi
Il Ricercatore Romano

Corrente. . . da brividi

written by Francesco Leone

La storia della superconduttività comincia con un appunto, scritto da Heike Kamerlingh Onnes l’11 Aprile 1911 di fronte alle stupefacenti proprietà conduttive del mercurio. Fu grazie alla possibilità della liquefazione dell’elio, messa a punto nel suo laboratorio dell’università di Leiden, che il fisico danese poté cominciare a sondare le caratteristiche del materiale: nel passaggio a temperature inferiori a 4,2 K (circa -269 °C) egli osservò una drastica riduzione della resistenza elettrica nel rame [1].

“Kwik nagenoeg nul”
“[Resistenza del] mercurio praticamente nulla”
Heike Kamerlingh Onnes (1911)

Da allora l’interesse per la superconduttività è cresciuto sempre più: nel 1933 venne scoperto l’effetto Meissner, per cui un materiale in stato superconduttivo non solo perde praticamente la sua resistenza elettrica, ma è anche in grado di espellere entro certi limiti un campo magnetico applicato dall’esterno. Negli anni Cinquanta cominciarono i primi tentativi di realizzazione di magneti superconduttori. Negli anni Sessanta venne scoperta la lega NbTi (Niobio di Titanio) che costituisce il materiale a oggi più diffuso per la realizzazione di magneti superconduttori. Nel 1979 venne realizzato il primo magnete per le applicazioni di Risonanza Magnetica Nucleare (RMN). Nel 1984 vennero utilizzati i primi magneti superconduttori nell’acceleratore di particelle americano Tevatron. Oggi, 9300 magneti superconduttori sono alla base delle magnifiche performance del Large Hadron Collider (LHC) presso il CERN di Ginevra.

Sempre più freddo!

La superconduttività costituisce il cuore pulsante della ricerca nella fisica delle alte energie. In un acceleratore circolare, le particelle devono essere mantenute su un’orbita chiusa e allo stesso tempo devono essere accelerate. Queste due operazioni si ottengono tramite l’uso di magneti e cavità a radiofrequenza: i magneti, in particolare i dipoli, hanno il compito di creare un campo magnetico perpendicolare alla direzione del moto della particella e quindi di deviarne la traiettoria grazie alla forza di Lorentz; le cavità hanno il compito di trasferire energia alla particella tramite la formazione di un campo elettrico sincrono con la stessa (Forza di Coulomb).

I magneti

Prendiamo in analisi i dipoli magnetici. In tecnologia non superconduttiva i massimi valori di campo ottenibili sono 1,5 – 2 Tesla, generati da intense correnti che scorrono in bobine perpendicolari al campo. Valori superiori si potrebbero ottenere aumentando le correnti, ma la dissipazione termica e i limiti strutturali del magnete renderebbero il progetto inefficace. Questo motivo sarebbe di per sé sufficiente a spiegare l’uso di materiali superconduttivi per dipoli con campi molto intensi, tuttavia bisogna chiedersi “che intensità di campo magnetico si raggiunge in un acceleratore?”. Con un po’ di conti, si può dimostrare [2] che per un fascio di particelle di protoni circolanti in un acceleratore si ha p = 0,33 B ρ, dove p è il momento della particella in GeV/c, B il campo magnetico in Tesla che attraversa nel passaggio nei dipoli, ρ il raggio di curvatura dei dipoli in metri1. Nella fisica delle particelle elementari, per la scoperta di nuove particelle (l’Higgs per esempio), è necessario che le loro collisioni avvengano a energie molto alte, il che comporta la necessità di campi magnetici elevati per mantenere di dimensioni ragionevoli il raggio di curvatura ρ e quindi le dimensioni dell’acceleratore stesso. Il design di LHC [2] prevede fasci di particelle in collisione con un momento p = 7000 GeV/c mantenuti su un’orbita chiusa (di circa 4,3 Km di raggio!) da 1232 dipoli lunghi 15 m ciascuno. Questo fornisce un valore di campo magnetico B di circa 7 T, vicino al valore di design di 8,9 T, ottenibile solo in tecnologia superconduttiva.

Figura 1 – Elementi costitutivi di una fibra Rutherford in NbTi.

La tecnologia intorno a un magnete superconduttore è tanto complessa quanto affascinante. Per garantire un campo magnetico di 8,9 T si utilizzano fibre superconduttive in NbTi alla temperatura di 1,9 K, raggiungibile con elio in stato superfluido. Nella figura in alto sono riportati diversi ingrandimenti di un cavo Rutherford, del tipo utilizzato per il trasporto di corrente nei magneti di LHC. La corrente in circolo varia tra 10 mila e 15 mila A. Ogni cavo contiene 36 strand, ognuno dei quali formato da 3600 filamenti di NbTi superconduttore con uno spessore di 6 micron (10 volte più sottile di un capello). Il filamento è immerso in una matrice di rame per garantire un’adeguata dissipazione del calore nel passaggio allo stato non superconduttivo.

In un normale magnete, ciò che dà la forma al campo magnetico è la posizione delle facce dei poli ferromagnetici (si pensi al classico magnete a C). In un magnete superconduttore, la forma del campo è data dalla disposizione dei cavi che trasportano corrente, l’uso del ferro è funzionale solo al contenimento del campo magnetico. La resistenza nulla del NbTi superconduttore permette di raggiungere densità di corrente dell’ordine di 2000 A/mm2, necessarie a sostenere campi di 8,9 T.

Nella figura in basso sono riportate le sezioni trasverse tipiche di un dipolo e un quadrupolo. Un dipolo, come descritto in precedenza, serve a deviare l’orbita delle particelle e deve possedere un campo magnetico il più omogeneo possibile all’interno delle due beam pipe dove circolano i fasci. Questo si può ottenere disponendo le fibre su due archi, come a sinistra nella figura. Un quadrupolo serve per mantenere il fascio focalizzato e si può ottenere disponendo le fibre su quattro archi, come a destra nella figura. I termini successivi (sestupoli, ottupoli, fino ai dodecapoli!) vengono utilizzati per correggere l’orbita o aumentare la stabilità del fascio circolante e si ottengono con distribuzioni di corrente simili.

Figura 2 – Sezione trasversa di due magneti utilizzati in LHC. A sinistra
la sezione di un dipolo; a destra quella di un quadrupolo.

La relativa semplicità con cui si possono disporre le fibre superconduttive permette di ottenere qualità di campo non comparabili in tecnologia normale. La dissipazione di potenza è 40 volte inferiore e le dimensioni più compatte.

Le cavità

Per accelerare il fascio è necessario trasferirgli energia creando un campo elettrico assiale nella stessa direzione del fascio circolante (modo TM010 visibile in Figura). Le cavità impiegate negli acceleratori di particelle sono tipicamente di forma cilindrica e accoppiate alla sorgente RF di potenza, i klystrons. Lavorare a basse temperature impiegando materiali superconduttivi presenta notevoli vantaggi anche per le cavità: si riduce notevolmente la dissipazione di energia sulle pareti della cavità aumentandone il cosiddetto fattore Q, definito come rapporto tra energia immagazzinata e dissipata (valori tipici di 104 per tecnologia non superconduttiva e 1010 con NbTi); aumenta il gradiente di tensione imponibile sull’asse della cavità fino a oltre 50 MV/m; consente un apertura maggiore della cavità, con conseguente riduzione dello scattering elettromagnetico provocato dal passaggio del fascio (cioè della sua beam coupling impedance). In LHC, attualmente, sono presenti 8 cavità a 400 MHz, per un totale di 16 MV per ciascuno dei due anelli. La struttura accelerante superconduttiva è facilmente riconoscibile dal coating superficiale in NbTi e dalla forma tipica mostrata nella figura a lato. Le cavità sono leggermente arrotondate alle estremità per ridurre il campo elettrico sulla superficie e quindi il fenomeno del multipacting, per cui elettroni estratti dalla superficie, acquistando energia dal campo elettrico superficiale, impattano contro la superficie della cavità rilasciando energia ed estraendo altri elettroni con effetto a valanga.

Figura 3 – Lo schema di una cavita accelerante operante in modo `
TM010.

In generale, quindi anche in merito al design di magneti, si cerca di tenere sotto controllo ogni possibile fenomeno di dissipazione termica per evitare che la temperatura del superconduttore cresca riportandolo allo stato normale (cioè si verifichi un quench). Per questo motivo si presta particolare attenzione alla struttura meccanica dei magneti, delle loro fibre conduttive, alla qualità delle superfici delle cavità, al multipacting, alla presenza di percorsi alternativi per la corrente in caso di quench.

Sviluppi futuri

Figura 4 – Un esempio di cavita accelerante superconduttiva

Le applicazioni della superconduttività nella fisica degli acceleratori di particelle sono in continuo aumento e approfondimento: nuove leghe, come il Nb3Sn, potranno sostituire quelle in NbTi per ottenere 13 T di campo magnetico e aumentare quindi l’energia delle collisioni in LHC; nuove applicazioni sono previste per gli High Temperature Superconductors (HTS) in passato di difficile realizzazione pratica; cavità acceleranti con gradienti di tensione sempre più alti saranno alla base degli studi dei grandi collisori lineari come ILC o CLIC.

Cento anni sono ancora pochi, la giovinezza di questa scienza attrarrà ancora molti giovani scienziati che da essa vorrano lasciarsi condurre… o supercondurre!

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Cento anni ma non li dimostra
Le Spalle dei Giganti

Cento anni ma non li dimostra

written by Francesco Leone

Nel 1911 Gilles Holst, all’epoca studente di dottorato nel laboratorio del Prof. Kammerlingh Onnes, non poteva certo immaginare che di lì a poco sarebbe stato il primo a osservare un nuovo fenomeno fisico, la superconduttività, destinato a rivoluzionare completamente la fisica dei solidi e non solo.

La scoperta del giovane Holst

Nel 1908 nel laboratorio di Onnes a Leida si era riusciti a liquefare l’elio, ultimo tra i gas inerti a essere condensato, portandolo a 4 K (= -269 °C). Quel giorno solo pochi millilitri di elio furono liquefatti, ma ciò aprì la strada all’esplorazione di regioni di temperatura precedentemente irraggiungibili. Onnes cominciò infatti a investigare le proprietà elettriche dei metalli, come la resistività, a bassissime temperature. Schematizzando un solido per semplicità come un reticolo costituito da atomi circondati da una nuvola di elettroni, possiamo immaginare un isolante come un sistema in cui questa nuvola di elettroni resta legata intorno agli atomi del reticolo, mentre un metallo come un reticolo in cui gli elettroni sono liberi di muoversi e trasportare corrente. La resistività di un mezzo dipende dal fatto che nel loro moto gli elettroni urtano fra loro e con gli ioni del reticolo. Il moto risulta ostacolato e gli elettroni sono di fatto rallentati. Nella collisione infatti l’energia si trasferisce dall’elettrone in moto allo ione che comincia a vibrare sempre più intorno alla sua posizione di equilibrio (il sito del reticolo). Una certa quantità di energia viene quindi dissipata sotto forma di calore. Già all’epoca era chiaro che aumentare la temperatura in un conduttore significava in pratica far oscillare maggiormente gli ioni del reticolo aumentando così la probabilità degli urti fra questi e gli elettroni in moto; questo spiegava perché la resistività dovesse aumentare con la temperatura.

Non era ancora chiaro tuttavia quale fosse il comportamento della resistività di un metallo a bassissime temperature. I modelli teorici fino ad allora predicevano due possibili comportamenti: nel primo caso gli elettroni avrebbero dovuto congelarsi all’abbassarsi della temperatura portando dunque all’osservazione di un aumento della resistività del campione (se gli elettroni sono bloccati non ci sono portatori liberi in grado di trasportare la corrente), mentre la seconda prevedeva il raggiungimento di un non ben definito valore minimo della resistenza determinato unicamente dalle imperfezioni presenti nel materiale.

Figura 1 – All’inizio del ’900, le estrapolazioni teoriche dell’andamento
della resistivita del mercurio a basse temperature prevedevano due sce- `
nari, in cui la resistivita a zero Kelvin era sempre diversa da zero. Il gio- `
vane Holst dimostro nel 1908 come la realt ` a fosse ben diversa e scopr ` `ı la
superconduttivita del mercurio sotto ` Tc = 4K.

Fu una gran sorpresa per Onnes scoprire che le osservazioni condotte dal suo studente Holst su un campione di mercurio purissimo non supportavano nessuna delle teorie proposte, ma anzi evidenziavano un comportamento anomalo della resistività caratterizzato da un crollo improvviso a una temperatura, detta critica, di circa 4 K. Onnes, scettico, chiese a Holst di ripetere e verificare i risultati dell’esperimento, ma di fronte all’evidenza dell’accuratezza e precisione di Holst non poté che ammettere che si era di fronte a un fenomeno fino ad allora inosservato, un nuovo stato della materia caratterizzato da un valore nullo della resistività a basse temperature e per questo battezzato stato superconduttivo.

Lo scienziato intuì immediatamente l’importanza della sua scoperta anche da un punto di vista commerciale: infatti un superconduttore può trasportare corrente a qualsiasi distanza senza effetti dissipativi. Da bravo scienziato si propose da subito come primo obiettivo di verificare sperimentalmente il fenomeno. Fu un successo: Holst eseguì un test su un anello superconduttore e verificò che una volta immessa una corrente (per esempio tramite una batteria) la corrente continuava a circolare nell’anello anche quando la batteria veniva disconnessa. Ciò voleva dire che l’impulso di corrente che era entrato tramite la pila in quel circuito non si era dissipato a causa della resistenza del materiale, ma continuava a circolare. E quella corrente, detta persistente, restò per ore fin quando non evaporò l’elio liquido e il mercurio si scaldò tornando a essere un conduttore normale. In un esperimento simile svolto negli anni Sessanta a Leida si vide la circolazione della corrente per due anni. Essa si interruppe solo a causa di uno sciopero dei trasporti che impedì il rifornimento di elio liquido.

Questa clamorosa scoperta valse a Onnes il premio Nobel per la Fisica nel 1913 e al giovane Holst il posto di direttore
ai laboratori di fisica della Philips!

Semplicemente superconduttori?

Un superconduttore è dunque semplicemente un metallo perfetto? No, infatti oltre alla resistenza nulla, un superconduttore è caratterizzato da un’altra straordinaria proprietà: è in grado di espellere completamente le linee di campo magnetico. Questo fenomeno è noto con il nome di effetto Meissner (dal nome dello scopritore del fenomeno, visto per la prima volta nel 1933).

In natura esistono diversi materiali che se immersi in un campo magnetico hanno la tendenza a espellere le linee di campo: questi materiali sono detti diamagnetici. Questo effetto tuttavia è tipicamente molto debole. Nei superconduttori invece, a causa dell’effetto Meissner, si creano delle correnti superficiali che generano un campo uguale e opposto a quello esterno in modo da annullarlo completamente. Un superconduttore si comporta dunque come un perfetto diamagnete. Quanto detto vale solo se il campo magnetico in cui il superconduttore è immerso non è troppo intenso. In questo caso, infatti, il superconduttore dovrebbe spendere troppa energia per generare un campo tale da annullare quello esterno e trova quindi energicamente più favorevole smettere di essere un superconduttore e tornare alla fase metallica.

Figura 2 – Nel 1933 Meissner scopr`ı che i metalli nella fase superconduttiva
non permettono ai campi magnetici esterni (purche non troppo ´
intensi) di penetrare al loro interno: e su questa propriet ` a che si basa il `
fenomeno della levitazione magnetica

L’unione fa la forza

La comprensione teorica della superconduttività seguì di un cinquantennio la sua scoperta. Solo nel 1956 infatti Bardeen, Cooper e Schrieffer (premio Nobel nel 1972) elaborarono la teoria microscopica per la superconduttività, nota come teoria BCS dal nome dei suoi autori. L’idea di base è che mentre in un metallo normale gli elettroni si muovono indipendentemente l’uno dall’altro urtando gli atomi del reticolo cristallino, in un superconduttore gli elettroni si accoppiano e si muovono insieme coerentemente in fase. Ma perché gli elettroni dovrebbero accoppiarsi trattandosi di due cariche negative che, per la forza di Coulomb, si respingono l’un l’altra? Il trucco sta nel reticolo cristallino, che è un mezzo elastico e riesce a mediare un’interazione attrattiva fra i due elettroni. Visivamente possiamo immaginare che un elettrone di conduzione che passa attraverso il reticolo perturba alcuni ioni positivi rispetto alla loro posizione di equilibrio, attraendoli leggermente verso di sé e costringendoli ad avvicinarsi tra loro, creando così una regione a maggior densità di carica positiva. Mentre questi ioni oscillano avanti e indietro un secondo elettrone può subire attrazione verso la regione positiva; quindi la perturbazione locale di cariche nel reticolo produce un debole potenziale attrattivo a corto raggio in grado di catturare un secondo elettrone. L’effetto netto è che i due elettroni possono interagire tra loro usando la vibrazione reticolare come intermediario.

Il meccanismo di formazione delle coppie può essere assimilato a quello per cui due sfere di piombo, poste su un materasso, tendono a convergere nello stesso punto, sfruttando la deformazione del materasso sottostante. Una volta formate le coppie, gli elettroni non si comportano più come particelle ordinarie indipendenti, ma, insieme con le altre coppie, formano un nuovo stato quantistico in cui le coppie si muovono coerentemente fra loro. Quindi mentre in un metallo normale gli elettroni si comportano come onde distinte e urtano fra loro e contro il reticolo (come un gruppo di ragazzi in discoteca), in un superconduttore gli elettroni accoppiati formano un’unica onda e si muovono insieme coerentemente (come le coppie che danzano il valzer!). Di fatto non urtano contro gli ioni del reticolo perché è il reticolo stesso che, deformandosi a livello microscopico, crea spazio per il moto dei due elettroni legati: il cristallo presenta, quindi, resistenza nulla.

Figura 3 – La differenza del comportamento degli elettroni tra la fase
normale e quella superconduttiva di un metallo e simile a quella dei `
ballerini in una festa in discoteca o in un gran gala di valzer.

Freddo ma non troppo

Se da un lato la comprensione teorica generale dei superconduttori era così sostanzialmente risolta, dal punto di vista sperimentale la ricerca di materiali caratterizzati da una temperatura critica sempre più elevata continuò anche dopo gli anni ’60. Dal punto di vista industriale infatti il possibile abbattimento dei costi per gli apparati di raffreddamento necessari a mantenere i materiali superconduttori al di sotto della loro temperatura critica diede grande impulso alla ricerca di nuovi superconduttori con temperature critiche sempre maggiori. Tali ricerche non produssero risultati signicativi fino al 1986, quando Bednorz e Muller annunciarono la scoperta della superconduttività con una temperatura critica di oltre 30 K, in un materiale ceramico contenente lantanio, rame e ossigeno drogato con bario [1].

Dopo questa scoperta furono sintetizzati materiali simili con temperature critiche sempre maggiori. Questi materiali vengono oggi indicati con il nome di superconduttori cuprati. Per molti anni questi materiali hanno rappresentato l’unica famiglia appartenente alla classe dei cosidetti Superconduttori ad Alta Temperatura (SAT). Altre famiglie sono state scoperte successivamente, come quella dei fullereni e recentemente, nel febbraio 2008, quella di un nuovo tipo di materiali contenenti arsenico e per questo chiamati pnictidi [2].

La scoperta della superconduttività ad alta temperatura ha rappresentato una vera e propria rivoluzione nel campo delle possibili applicazioni dato che le temperature critiche elevate hanno reso possibile l’uso dell’azoto liquido (la cui temperatura di ebollizione è -196 °C) come mezzo refigerante al posto del ben più costoso elio liquido. Dal punto di vista concettuale la teoria BCS non riesce a spiegare il fenomeno della superconduttività ad alta temperatura. Il reticolo come mediatore dell’interazione fra gli elettroni non può infatti giustificare le alte temperature critiche osservate. Ma allora qual è la colla che riesce ad accoppiare gli elettroni e a tenerli insieme anche a temperature così elevate? A oggi non conosciamo ancora la risposta a questa domanda, che è solo una delle questioni aperte in questo campo. Infatti lo studio intensivo che ha seguito la scoperta di questi nuovi superconduttori ha portato alla luce pian piano tutto un insieme di anomalie e problematiche che questi sistemi presentano non solo nella fase superconduttiva, ma anche nella cosiddetta fase normale. La comprensione dei superconduttori ad alta temperatura rappresenta oggi una sfida che ci spinge ogni giorno a ripensare e rivedere molti dei paradigmi finora utilizzati (con successo) nella fisica dei materiali. Il punto dunque non è semplicemente quello di comprendere il meccanismo alla base della superconduttività in questi sistemi, ma piuttosto di capire come questi sistemi funzionino globalmente comprendendo le varie connessioni fra i tanti e diversi fenomeni osservati. La ricerca sui SAT procede così aggiungendo di giorno in giorno nuovi dettagli, permettendo una visione globale via via sempre più completa.

I primi 100 anni della superconduttività

A un secolo dalla sua scoperta il fenomeno della superconduttività, in particolare nell’ambito dei SAT, rimane a oggi uno degli ambiti di ricerca più stimolanti. La comprensione globale della superconduttività potrebbe infatti condurre alla ingegnerizzazione di superconduttori non solo con temperature critiche elevate ma anche adatti all’impiego su larga scala: materiali duttili, malleabili, facili da costruire ed economici! Una vera rivoluzione del nostro vivere quotidiano.

Aprile 26, 2018 0 comment
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Editoriale

Ogni resistenza è inutile.

written by Francesco Leone

La superconduttività (cioè il passaggio di corrente in un materiale senza alcuna dissipazione) venne scoperta per caso nel 1911 da un giovane studente del Prof. Kammerlingh Onnes a Leida. In occasione del (primo) centenario della scoperta abbiamo pensato a un numero speciale di Accastampato dedicato interamente a questo affascinante fenomeno.

Fin dalla sua scoperta, totalmente inaspettata sulla base delle conoscenze teoriche dell’epoca, ci si rese conto che l’assenza di resistività era solo una delle manifestazioni macroscopiche di un nuovo stato quantistico della materia. Come ci racconta Laura Fanfarillo in Cento anni ma non li dimostra, la superconduttività emerge da un moto armonioso di coppie elettroniche, che riescono grazie a questa nuova coerenza globale a viaggiare nel reticolo cristallino senza più collisioni. La manifestazione macroscopica di un fenomeno miscroscopico puramente quantistico è quindi “uno degli aspetti più affascinanti della superconduttività”, per dirla con le parole usate da Valentina Brosco nella descrizione dei circuiti elettronici superconduttori. In essi, elementi superconduttivi alternati a elementi normalmente conduttori (le cosiddette giunzioni Josephson) danno vita a dei potenti convertitori di flusso magnetico in tensione, gli SQUID, con applicazioni che spaziano dalla MEG (magnetoencefalografia) ai (futuri) computer quantistici.

Ma torniamo alla resistenza nulla: questa ci permette di far passare in un circuito chiuso una corrente molto più grande di quella accessibile con un ordinario cavo metallico e generare con essa un elevato campo magnetico. Una spinta propulsiva notevole alla realizzazione di questi magneti superconduttori è venuta dal loro utilizzo negli acceleratori di particelle, in particolare in tempi recentissimi dalla costruzione del Large Hadron Collider (LHC) al CERN di Ginevra, come ci spiega Nicolò Biancacci in corrente… da brividi.

Una delle difficoltà principali consiste nel fatto che il fenomeno superconduttivo avviene solo nel limite dell’estremamente freddo (nella generazione di superconduttori cosiddetti ad alta temperatura siamo comunque intorno ai -150 °C). Può quindi sembrare paradossale che lo stesso fenomeno di accoppiamento coerente possa verificarsi nelle stelle di neutroni – dove la temperatura si aggira intorno ai 109 °C! – come invece ci raccontano Andrea Cipollone e Angelo Valli in Superconduttività di colore nelle stelle compatte.

Come avviene spesso in fisica, lo stesso modello teorico può descrivere fenomeni appartenenti a mondi apparentemente diversi. Dall’infinitamente freddo all’infinitamente caldo: a LHC a Ginevra si cercano manifestazioni del cosiddetto bosone di Higgs, la particella che è stata ipotizzata nel Modello Standard per spiegare perché in natura una certa simmetria, quella associata alle interazioni elettrodeboli, appare spontaneamente violata. Ebbene, la superconduttività è anch’essa una manifestazione del fenomeno di Higgs, che venne infatti postulato per la prima volta da Y. Nambu (vincitore nel 2008 del premio Nobel per la fisica insieme a M. Kobayashi and T. Maskawa) usando proprio l’analogia col fenomeno superconduttivo (Y. Nambu, G. Jona-Lasinio, A Dynamical Model of Elementary Particles based on an Analogy with Superconductivity II, Physics Review 124, 246 (1961)). Nel formare lo stato superconduttivo il sistema rompe (spontaneamente) la simmetria di gauge dell’interazione elettromagnetica. Il fotone diventa massivo (meccanismo di Higgs) e il campo magnetico non penetra nel superconduttore, dando luogo a quell’effetto Meissner di cui ci parla Laura Fanfarillo (vi consiglio a questo proposito il bellissimo articolo di Steven Weinberg).

Così, nell’attesa di sapere se potremo osservare o no il bosone di Higgs a LHC, speriamo che restiate affascinati dal suo confratello nel fenomeno superconduttivo, che appassiona da ormai ben 100 anni una vasta comunità di fisici dello stato solido!

Buona lettura!

Aprile 26, 2018 0 comment
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Il Ricercatore RomanoUncategorized

Reazioni chimiche in stop motion

written by Redazione
This entry is part 2 of 2 in the series numero 5
Aprile 3, 2018 0 comment
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Editoriale

Tra il sogno dello spazio e il disastro giapponese

written by Redazione
This entry is part 1 of 2 in the series numero 5

Quest’anno il mese tra marzo e aprile e stato caratterizzato da due eventi opposti: la tragedia del `
terremoto giapponese da una parte e i festeggiamenti per il cinquantesimo anniversario della conquista
umana dello spazio dall’altra.
Entrambi i casi suggeriscono una volta di piu come la scienza sia centrale e imprescindibile nello `
svolgersi degli accadimenti umani: la supremazia tecnologica nell’ambito anti-sismico del Giappone
ha permesso a quest’ultimo di affrontare efficacemente un disastro di enormi proporzioni, un evento
naturale che in molte altre parti del mondo avrebbe avuto conseguenze decisamente piu gravi. I limiti `
della tecnologia pero esistono e vanno conosciuti e gestiti: la presenza di una grande industria nucleare `
in un territorio ad alto rischio sismico ha provocato un allarme mondiale quando ci si e resi conto dei `
danni ingenti riportati dalla centrale di Fukushima. Niccolo Loret esamina in ` Disastri a confronto le
principali emergenze nucleari degli ultimi trent’anni, permettendo cos`ı di porre nella giusta prospettiva
l’incidente giapponese.
D’altra parte, la scienza si fonda sull’attrazione che ha l’uomo per l’ignoto e sulla sua volonta di `
superare i limiti della conoscenza: nell’ultimo secolo tutto cio` e stato dimostrato molte volte, prima `
fra tutte dalla meravigliosa avventura, tutt’ora in corso, della conquista dello spazio. Oltre qualsiasi
bandiera e ideologia, il 4 ottobre, il 12 aprile e il 20 luglio sono date storiche per tutta l’umanita:`
Matteo Di Giovanni ci fa rivivere le emozioni di quella mattina del 12 aprile 1961, quando il giovane
pilota militare Yuri Gagarin si contorceva per entrare nella minuscola capsula che l’avrebbe portato
verso le stelle.
La voglia di gettare uno sguardo oltre e propria anche degli uomini che invece di guardare in alto `
osservano il microscopico mondo che e in noi, in cerca di regole, ma anche di indizi di qualcosa di `
nuovo, di inaspettato, di fuori legge. Erica Chiaverini dipana il filo dell’avventura scientifica e tecnologia,
quasi fosse un giallo, dedicata negli ultimi venticinque anni alla ricerca del decadimento
proibito del muone, particella cugina dell’elettrone, che forse ha in se alcune delle risposte fonda- ´
mentali sulla natura della materia. Tullio Scopigno ci immerge invece in un mondo caratterizzato da
fenomeni velocissimi, in cui il tempo sembra quasi perdere la sua consistenza, in cui brevissimi flash
di speciali laser permettono di osservare le reazioni chimiche in stop motion. Un mondo microscopico
che ha un inaspettato legame con fenomeni molto piu vasti, movimenti sociali che, comunque `
vadano, lasceranno un’impronta indelebile nella storia del Medio Oriente e non solo.
La scienza non e comunque un processo lineare e sempre progressivo. Ne ` e un esempio, sostanzial- `
mente innocuo, ma emblematico, quello dello strano caso della massa relativistica che Matteo De
Giuli ci espone nella sua genesi e nella sua risoluzione, lungo un secolo di scienza e comunicazione
della scienza: un caso che dimostra come non sempre le idee scorrette vengono col tempo dimenticate.
Una rappresentazione efficace dei movimenti che caratterizzano il cammino della scienza puo poi `
trovarsi anche al suo esterno, in particolare nella letteratura e nella narrativa: e da poco uscito il ro- `
manzo L’energia del vuoto di Bruno Arpaia, un thriller ambientato al Cern di Ginevra, dentro e fuori
il grande anello di LHC, che fa emergere il duro ma appassionante lavoro degli scienziati, insieme alle
oscure verita che a volte si celano dietro formule e calcoli. `
Formule e calcoli che viviamo tutti i giorni e che in primavera coinvolgono anche l’associazione
accatagliato, alle prese con bilanci e bilancini. Basta davvero poco per diventarne soci e sostenere
l’attivita del sito ` accatagliato.org e di questa rivista: a pagina 21 tutti i contatti e i canali di
finanziamento.

Buona lettura!

Aprile 3, 2018 0 comment
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